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Il prugnolo selvatico: una pianta ricca di benefici per la nostra salute

Il prugnolo selvatico, Prunus spinosa, è un’antica pianta arbustiva diffusa in tutta Europa. Vista la sua lunghissima storia e tradizione, è conosciuto anche con altri nomi: pruno selvatico, strangolacane, susino di macchia, sgancio, strozzapreti, susino selvatico. A questa pianta sono legate leggende, credenze, conoscenze e saperi tramandati dalla tradizione popolare; è una pianta adatta alla coltivazione domestica, visto che le sue forti spine possono essere sfruttate come efficace barriera protettiva. Inoltre, i suoi deliziosi e numerosi frutti sono largamente impiegati per la preparazione di conserve invernali ed anche ottimi liquori.

Descrizione e caratteristiche del Prugnolo

Cresce dalla fascia mediterranea fino alla zona montana, solitamente ai margini dei boschi e dei sentieri: è molto probabile che nei vostri trekking in montagna, su per i monti o in mezzo ai boschi lo abbiate incrociato ma non sapevate che tipo di pianta fosse. Viene chiamato anche “Pruno selvatico o Prugnolo“, è un arbusto spinoso che fa parte della famiglia delle Rosaceae, dal greco “prunon” che ne indica il frutto  e dal latino “spinosus” che lo identifica, appunto, come una pianta spinosa.

Questo cespuglio può raggiungere i 5 metri di altezza. Il tronco finemente fessurato ha una corteccia cenerina lucida. Le foglie sono alterne, lanceolate, brevemente picciolate, a margine seghettato. I fiori sbocciano prima delle foglie a fine inverno, sono di colore bianco, piccoli, solitari o riuniti in fascetti; hanno un profumo intenso e sono largamente bottinati dalle api. Il frutto è una drupa, sferica di circa 1 cm, nerastra con pruina azzurra, dal sapore aspro e allappante da acerba, acidulo-dolciastra a maturità. I fiori del Prugnolo si distinguono facilmente da quelli dell’Agazzino (Cotoneaster pyracanthae da quelli del Biancospino (Crataegus oxyacantha), somiglianti di forma, ma con ovario infero e (tranne per il Biancospino delle siepi) con 2-5 stili. Inoltre il Prugnolo mette prima i fiori e poi le foglie, mentre il Biancospino fa il contrario.

Qualità, principi attivi e comuni utilizzi della pianta

La qualità fondamentale del prugnolo selvatico – forse la più conosciuta ed apprezzata –  è la capacità di intrecciarsi e diventare una vera e propria barriera fisica naturale, un ostacolo insuperabile perfino per un grosso animale, ad esempio il cinghiale: le spine del prugnolo selvatico sono altrettanto famigerate quindi, se voleste adoperarvi per raccoglierne i frutti, fate attenzione a non rimanere impigliati. Ma ci sono altri due elementi che fanno del prugnolo selvatico una pianta dagli innumerevoli utilizzi: il legno e le api. Pensate che il legno dei rami è talmente forte che viene usato in falegnameria per produrre piccoli attrezzi; le api, invece adorano i fiori del prugnolo perché emanano un fortissimo profumo molto simile a quello del miele.

Alcuni dati interessanti sui principi attivi e gli utilizzi di questa pianta: i fiori contengono tannini, amigdalina, canferolo, oli essenziali, gomme, glicosidi flavonoidici e resine. I frutti, invece, oltre ad essere molto ricchi di vitamine, sono caratterizzati da sostanza – detta “cumarinica” – che diminuisce la fragilità dei vasi sanguigni. I fiori – raccolti rigorosamente appena schiusi – vengono utilizzati come blandi sedativi, diuretici, espettoranti e per favorire la digestione e rinfrescare l’intestino. I frutti invece vengono utilizzati come astringenti e diuretici. Molto interessanti e curiosi sono gli utilizzi tradizionali – i famigerati “rimedi della nonna” – di questa pianta: per il raffreddore si beveva del vino nel quale erano stati immersi i frutti del prugnolo, una sorta di decotto che veniva utilizzato come rimedio contro la tosse e quindi ingerito insieme al miele. Dalla corteccia del prugnolo si può estrarre un colorante rosso utilizzato in passato per tingere, e dalle foglie essiccate un surrogato del tabacco.

Una delle ricette più comuni, ma per questo non meno deliziose di altre, è il liquore al prugnolo selvatico. Potete trovare la ricetta in rete: noi vi consigliamo questa di coltivazionebiologica.it perché corretta e molto dettagliata.

Una definizione precisa e completa dei benefici la troviamo nel “Compendio di Gemmoterapia Clinica” di F. Piterà:

Stimola il sistema immunitario quando questo ha subito mortificazioni da inquinamento ambientale, chimico, farmacologico, batterico e virale, consentendo di abbreviare il periodo di convalescenza dopo malattie polmonari.” F. Piterà (Compendio di Gemmoterapia Clinica – Ed. De Ferrari, Genova).

E’ stato dimostrato che le gemme di Prunus spinosa possiedono importanti ed interessanti proprietà terapeutiche:  riattivano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e stimolano il sistema immunitario, consentono di riattivare il ricambio purinico (gotta) e di stimolare la parte endocrina del pancreas (diabete). In alcune preparazioni erboristiche moderne il Prugnolo è principalmente utilizzato come gemmoderivato, estratto dalle gemme appena raccolte: non è molto conosciuto ma è ottimo come tonico e stimolante quando l’organismo è stato debilitato da malattie o da situazioni inquinanti, logoranti e stressanti.

 

Miti, leggende, credenze

Veniamo ai miti e alle leggende legate a questa magnifica ed antichissima pianta:  il prugnolo selvatico si presta anche alla coltivazione domestica, perché le spine sono perfette come barriera protettiva naturale e venivano usate dai contadini per proteggere le loro abitazioni. E’ proprio nell’intreccio dei rami del prugnolo che è nata la leggenda: si pensava che nella pianta vi fosse custodito il bene ed il male e che chi possedesse un prugnolo ricco di spine fosse anche al riparo da fuoco, fulmini e soprattutto da malattie. Ma non è finita qui: il pruno selvatico è ricordato soprattutto per il suo aspetto oscuro e misterioso che ne facevano una pianta molto caro alle streghe, ambigua e pericolosa. I frutti dal colore molto scuro, il gusto aspro e amaro unito all’oscurità impenetrabile dei rami e delle spine, lo rendevano un arbusto inquietante, minaccioso, simile ad una creatura delle tenebre, contorta e scheletrica, che catturava i malcapitati che le si avvicinavano troppo trascinandoli nel buio ignoto dei suoi recessi spinosi.
Il Diavolo in persona aveva insegnato loro questa pratica malefica, dopo averle a sua volta trafitte con le stesse spine. Durante i processi dell’Inquisizione, infatti, si ricercavano piccole punture o particolari nèi che rivelassero il marchio diabolico e la vera natura dell’imputato, ovvero la sua appartenenza ai terribili cortei demoniaci. Tra gli slavi, invece, si credeva che le spine servissero per difendersi dagli stessi esseri maligni accennati poco sopra, ovvero da streghe, diavoli e spiriti malevoli, e che quindi ne tenessero lontane anche le pericolose influenze e la crudele magia. Ringraziamo tempiodellaninfa.net per le preziose informazioni sopra riportate.

 

Nell’ambito di un progetto molto ampio, che possiamo chiamare di”riforestazione urbana”, abbiamo dato vita, insieme al Parco Nord Milano ed aziende come Sgambaro e That’s Vapore, una Food Forest – altrimenti chiamata anche “foresta commestibile”, proprio nel mezzo del polmone verde milanese, al Parco Nord Milano .

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